mercoledì 1 febbraio 2012

Luigi Lusi quando era nel Pci

Luigi Lusi. Tra tutte le immagini su internet,
questa è quella
più vicina a com'era venti anni fa.
Luigi Lusi lo conoscevo, purtroppo. Mica perché è accusato di aver sottratto qualche milione di euro dai conti della Margherita, quando era tesoriere, né perché è senatore.
Lo conoscevo semplicemente perché negli anni Ottanta era iscritto alla mia stessa sezione, che si chiamava "Mario Cianca" e stava a Roma, in via Mario Rapisardi. Ora, al suo posto, c'è una casa. Si trattava di un piano terra con un piccolo giardino, dentro il quale occupava molto posto un albero alto e verde. Per caso  ci sono passato di sera, quasi un mese fa, con 38 di febbre, mentre tornavo sui miei passi con gli amici di sempre. Accanto all'albero c'era parcheggiata una Smart.
Era una sezione strana. C'erano i filosovietici, la figlia di uno degli uomini più ricchi d'Italia, certificato da una tabella uscita su "Repubblica" allora, il fratello di un Br ucciso in uno scontro a fuoco, uno della scorta di Berlinguer, un tipo che ha fatto il segretario per tutte le stagioni, il consigliere circoscrizionale più famoso del quartiere, DUE, dico DUE falsi medici, nel senso che si spacciavano per medici, ma non lo erano, e davano pure consigli ai malati, un architetto di successo, qualche operaio, femministe ancora arrabbiate, persone splendide che si occupavano di un Centro Anziani, un reduce dalla Russia che votava MSI (non era iscritto ma frequentava) e due cari amici, con i quali sono ancora in contatto. Poi c'erano gli iscritti segreti, che magari lavoravano in qualche posto e non si volevano esporre. C'era il fratello di un noto giornalista, sempre di "Repubblica", e anche un noto giornalista dell'Unità, che per caso era il padre di una mia compagna di classe. E poi l'unico comunista americano che allora viveva in Italia e con il quale siamo ancora molto amici. Entrature dentro l'Unità e il Pedale Ravennate ci portarono, a me e altri due iscritti, a seguire per tre anni di fila il Giro delle Regioni, una specie di giro d'Italia per nazionali dilettanti. C'erano tutti quelli che poi avrebbero fatto la storia del ciclismo negli anni Novanta. E poi c'erano tanti bambini, i figli degli iscritti, perché all'epoca le baby sitter erano un lusso e magari i nonni erano morti. Fondammo anche un circolo culturale che si chiamava John Reed e organizzammo un capodanno nel quartiere che fu un successone. Repetita Juvant, ma a carnevale ci riprovammo e facemmo flop. Uno dei verdi, diventato poi sottosegretario con Prodi e notissimo in tutta Roma, anche perché portava il nome di una moneta, ci voleva mettere sopra il cappello e il circolo, che aveva recuperato dal muretto almeno una quindicina di ragazzi, si sciolse.
C'era, infine, Luigi Lusi. Non ricordo che lavoro facesse allora. Ma rammento le sue posizioni politiche: migliorista di ferro (insomma, della corrente di Napolitano) e, quando si trattò di scegliere tra la proposta di Occhetto di sciogliere il partito e quella di Ingrao, di riformarlo, ovviamente si schierò con la prima. L'ultimo congresso che si svolse il sezione fu un litigio continuo e io me la presi proprio con Lusi e il fratello del giornalista di "Repubblica", i più appassionati assertori della svolta, o della "cosa". Non so se ebbe mai a che fare con il denaro della sezione, ma non credo proprio. Io ero tra i più piccoli, non contavo quasi niente e certe cose non le venivano a dire a me. Avevo una talpa dentro il gruppo dirigente, questo è vero, ma sono passati troppi anni. Ricordo il suo sorriso beffardo quando vinsero il congresso. Noi, i pochi ingraiani, ci sentimmo come derubati (non da Lusi, ma da Occhetto, Fassino e "compagni") di un qualcosa, il partito, in cui, purtroppo, avevamo creduto, giovani illusi! Ho questa macchia sulla mia coscienza. Sono stato un militante. Ma, ovviamente, non è la maggiore.







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